Soldatini di piombo
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CACCIATORE DI FANTERIA COLONIALE
 

 
ITALIA 1887

 

In considerazione del clima etiope, le prime unità inviate in Africa erano provviste di fresche divise di cotone bianco, eleganti nel taglio, ma prive o quasi di mostreggiature. Inoltre la necessità di alleggerire i soldati impose presto di eliminare lo zaino e ridurre l'equipaggiamento, confidando nei rifornimenti distribuiti nelle varie stazioni disseminate per la colonia. Perciò i soldati italiani che caddero a Dogali avevano con sé solo un paio di calzature di riserva e la coperta, arrotolata e portata trasversalmente come una bandoliera. Al pari degli altri eserciti coloniali europei, anche quello italiano dopo il 1890 sostituì la divisa bianca con una colo kaki.

 


 

L'uniforme dei primi corpi di fanteria coloniale italiana, quelli per intenderci che furono annientati a Dogali, era assai semplice, confezionata con tela di cotone bianco che ricopriva anche il caschetto di feltro, ornato da una grossa coccarda tricolore e, lateralmente, da una lunga penna nera con pon-pon rosso. Il cinghiame era solitamente nero o di colore scuro; le scarpe, anch'esse di cuoio nero, erano parzialmente coperte da ghette bianche. L'armamento fino agli anni novanta del XIX secolo era costituito da un fucile Vetterli con baionetta e da un corto spadino da fanteria.

 

 


 

CENNI STORICI
 

Perché l'Italia incappò nell'incidente di Dogali, la disfatta che mise a nudo le pecche del nostro esercito molto prima della guerra contro Menelik II? Le colpe vanno divise tra classe politica e vertici militari. Alla prima spetta la responsabilità di aver progettato l'occupazione dell'Etiopia (di cui si voleva colonizzare l'entroterra) come una passeggiata, quando invece il nostro interlocutore era uno dei pochi Stati guerrieri dell'intera Africa, arroccato su montagne impervie, da secoli abituato a combattere con i suoi vicini. Di più, si trattava di uno Stato con forte identità nazionale, ancorché internamente diviso, e che oltretutto poteva contare sul tacito appoggio della Francia, diretta concorrente dell'Italia nella corsa coloniale. Un interlocutore, l'impero etiope, da prendere dunque con le molle, e contro il quale sarebbe stato prudente muoversi solo dietro adeguate preparazione. Invece la nostra classe dirigente si lasciò guidare dalla fretta, spinta dal timore di restare esclusa dall'accaparramento coloniale, e organizzò la spedizione con colpevole superficialità, contando sul fatto che gli etiopi non avrebbero reagito. Un errore di cui si resero compartecipi anche i nostri vertici militari, i quali non solo snobbarono il rischio di possibili agguati, prevedibili anche in una situazione formalmente non di guerra come quella antecedente il 1887, ma condivisero la scelta governativa di inviare in Etiopia solo oche migliaia di uomini, e per di più male addestrati. Con quali risultati, lo si vide a Dogali il 27 gennaio 1887, quando una colonna di 500 fanti caduta in un'imboscata etiope si lasciò prendere dal panico al punto da mandare presto fuori uso anche le due mitragliatrici con cui avrebbe potuto difendersi.